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Maria Teresa Prestigiacomo
Il maestro Salvatore Amelio rende omaggio all’Altare di Pergamo.
Il dialogo con l’invisibile, con il mito ellenico che affascina e conquista
Berlino. Sulle rive del fiume Sprea, sorge, altezzoso, austero, magnifico, audace, intrigante, misterioso, il PergamonMuseum, un pezzo di cuore antico del Mediterraneo in quell’isola dei Musei, a Berlino, in quella Germania che ha sempre osannato il classicismo.
L’Ara di Pergamo diventa, immediatamente, a prima vista, oggetto d’interesse profondo, per Salvatore Amelio: quell’attenta ricostruzione di un altare, protagonista Pergamo, capitale di una fiorente civiltà ellenica, comincia ad avvincerlo e, quasi come in preda alla Sindrome di Sthendal che coinvolge gli artisti o gli appassionati d’arte, egli si mette alacremente all’opera.
A questo punto, L’altare di Pergamo diventa la principale fonte d’ispirazione dell’artista e le sue opere si consacrano su quell’altare ricostruito, per merito di Otto Puchstein, attraverso l’attenta opera di ricerca archeologica di Carl Humann che ha riallacciato, attraverso preziose tracce, un dialogo con la Grande Storia, dialogo mai finito, se pensiamo all’eco di memoria che, dalla fine dell’Ottocento continua, avendo avuto inizio dal 174 a.C. (o 154 a.C., anno in cui, probabilmente, fu portata a compimento la sua costruzione).
PergamonMuseum, il Museo d’arte e di archeologia più visitato della Germania, 950.000 visitatori l’anno!
Non potevo non rivisitare l’Altare di Pergamo, in vista della presentazione delle opere dell’artista, il maestro Salvatore Amelio!
La straordinaria bellezza di questa splendida costruzione che esalta il trionfo della civiltà sulla barbarie, e della superiorità divina sui “Giganti”, non poteva lasciarmi che incantata, per la prima volta, come fu per Amelio.
Avrei voluto effettuare una mia seconda visita, in coincidenza con “La notte dei Musei”, evento di “Notte Bianca” che si consacra nella capitale della cultura germanica, ogni anno, a Berlino, a fine agosto, ma, proprio in quell’occasione, in quella magica notte stellata di Luna d’argento sul fiume, una notte quasi mediterranea, il sipario non si aprì, proprio sull’Ara di Pergamo.
La mia sensazione fu che si volesse segnare uno spartiacque tra il Pergamon Museum e gli altri Musei, altrettanto importanti che, in quella notte, diventavano oggetto della curiosità delle masse dei visitatori, quelle del “mordi e fuggi della cultura” che, nelle Notti Bianche, affollano, a volte più per moda che per una reale sete di conoscenza e di cultura, le sale museali, ciondolando da una sede espositiva all’altra e vedendo senza osservare.
Ciò mi confermava l’alta considerazione dei tedeschi per l’Ara di Pergamo e quindi, per il lavoro dell’archeologo Carl Humann che, dopo otto anni di scavi in Turchia, riuscì a far arrivare a Berlino, il fregio che circonda la base del tempio di Pergamo, quei centoventimetri, circa, di splendore che, oggi, rappresentano la parte più preziosa dell’antico tempio.
Citata nel Nuovo Testamento nell’Apocalisse da Giovanni Evangelista, in esilio a Patmos, come una delle sette chiese dell’Asia, l’Ara di Pergamo era ubicata vicino alla sede del santuario di Esculapio, noto per le sue virtù taumaturgiche.
Pertanto, non appare casuale la scelta di Amelio di attingere, quale preziosa fonte d’ispirazione, alle radici di questo tempio e di questo luogo sacro, considerata la sua propensione alla rappresentazione dell’Arte Sacra, al ritratto psicologico dei suoi personaggi, colti nella loro spiritualità…
Ne consegue che una pregnante storia di un luogo sacro, fatto di antichi miti e leggende che avvolgevano di un alone di mistero Pergamo e il suo altare (Pergamo era nipote del fiero Achille, Pergamo era una città non lontana da Smirne, nell’Asia Minore), non poteva non coinvolgere l’animo sensibile di un valente, brillante artista, dalla profonda cultura, come il maestro Salvatore Amelio.
Pertanto, il pittore e scultore si mette all’opera, per amore e passione, producendo straordinarie, eccellenti, monumentali sculture e opere in pittura che esprimono l’intensa spiritualità del luogo, sembrano cogliere l’anima loci, nel fitto rapporto dell’artista con la Mitologia e la Storia Antica, nel racconto di Amelio che parla anche del trionfo dell’uomo sulla natura.
L’artista, inoltre, da buon calabrese, sembra manifestare, attraverso le sue opere, un atto di profonda devozione verso la sua terra, verso le sue origini: l’antica e misteriosa Magna Grecia. Egli, artista di elevato profilo professionale, con una produzione di dignità museale, intreccia intimi rapporti, nell’arte, con la Grande Storia e con la memoria del tempo perduto e ritrovato; dialoga egli stesso, con le sue opere, dal carattere universale.
Gli Dei dell’Olimpo sono rappresentati da Amelio, con notevoli sforzi che si traducono in ricchezza compositiva, espressiva; mai le sue composizioni risultano barocche e sfarzose, ma appaiono sempre ricche ed eleganti, pregnanti di contenuti, sobrie e maestose al tempo stesso, nonostante la magnifica sintesi operata dal maestro.
Ed ecco che le figure s’intrecciano, levitano, come fantasmi del passato, nella pittura di Amelio, come pure nelle sue sculture, le figure appaiono radiose, dinamiche, leggiadre, quasi a sfidare la forza di gravità, in taluni casi, stravolgendo qualità e peso specifico della materia: il bronzo o altro materiale adottato.
A questo punto, possiamo affermare che il dinamismo di Amelio anima tutte le sue opere che sembrano danzare, leggere, evocando, ad esempio, nel caso di Dyonisos, le danze carnascialesche del Dio Bacco e delle Baccanti, Bacco, ebbro di sesso e vino… Le figure s’intrecciano, il racconto s’infittisce, come nel caso del Gigante, nel caso di Hekate, figlia del Titano, gigante Crio, la potente Ecate (Crataeis, potente) la dea della profezia, in rara triade con Artemide e Selene, patrona di tutte le arti divinatorie: la rappresentazione di Amelio è di una donna audace e possente.
Hekate viene ripresa dall’artista, nella sua postura altera, attraverso l’eccellente tecnica che il maestro mostra di conoscere; egli governa la conoscenza dell’anatomia del corpo umano, al punto tale da poterne sintetizzare, con efficacia, la muscolatura e le linee del corpo, sino a consegnarcele, scomposte, quasi come fossero ectoplasmi di fantasmi di un’antica memoria di epopee valorose di Miti, ed ecco che alcune parti anatomiche del corpo si trasformano, sfumando alcuni tratti e creando un impianto scenico che evoca gli esiti surreali del pittore di Figueras: Dalì. Le figure s’intrecciano con motivi di linee curve, tali da non esprimere mai stasi, trasmettendo, invece, sempre, tensione psicologica, movimento, intenso coinvolgimento emotivo, accentuando il pathos dei personaggi.
La Scultura si arricchisce di effetti pittorici, soprattutto nelle pieghe delle vesti dei soggetti rappresentati e la pittura, pur rimanendo esclusivamente pittura, si arricchisce, anch’essa, a sua volta, nell’apparenza, di forme e volumi scultorei. Certamente, nella produzione del maestro Amelio avvertiamo le grandi lezioni di valenti artisti che hanno fatto la Storia dell’Arte Italiana del Secolo scorso, quali Boccioni o De Chirico o il già menzionato Dalì, ma la fantasia, l’intensa originalità di Amelio, unite alle sue straordinarie competenze tecniche, lo consacrano maestro di forte personalità, protagonista indiscusso della Grande Storia dell’Arte del Terzo Millennio, interprete massimo non solo dell’anima loci di Pergamo, del suo altare, ma soprattutto della Storia del più importante Regno Ellenico.
“Il viaggio finisce qui”: recita il primo verso di una nota poesia di Eugenio Montale; al contrario, il viaggio di Amelio, antico quanto il mondo, cavalcando miti e leggende e Storia Antica del cuore del Mediterraneo, non finisce qui: è appena incominciato. Il viaggio è iniziato, con il successo della Mostra, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Berlino, è proseguito nel Castello Estense di Ferrara e continua, oggi, nel 2014, a Taormina, con questa mostra (nel location che è stata di Juan Mirò) inserita nel prestigioso Calendario di Taormina Arte e fortemente voluta dal Conte Tindaro Toscano della Zecca, presidente del Club Unesco Taormina Valli d’Alcantara e d’Agrò, consigliere e vice presidente nazionale FICLU UNESCO e dai suoi soci. Per concludere, occorre affermare che trattasi di un affascinante, magico percorso didattico, questa ricca produzione dell’artista calabrese, di Ferrara, ma pur sempre figlio della Magna Grecia, artista degnamente inserito, a pieno titolo, nella grande Storia dell’Arte Italiana.
Il percorso si colloca quale fantastico viaggio dell’arte, esperienza ancor più forte di un viaggio psichedelico, giacché trattasi di un viaggio che accompagna la memoria di sé, oltre i confini del tempo, sfidandone l’eternità, alla velocità della luce, così come vuole la vera arte, nel suo continuo dialogo spirituale con l’invisibile.
Il messaggio del maestro Amelio, attraverso le sue opere, trionfo della civiltà sulla barbarie, è messaggio universale, senza tempo, né spazio, in cui vince, s’impone e si consacra, sull’altare dell’Arte, la vera Bellezza, inconfutabile da mode, correnti o da critici bislacchi: la Grande Bellezza.
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