| Franco Patruno - Palazzo dei Diamanti Ferrara 1983 C'è un fascino oscuro ed una misteriosa forza simbolica nel metallo: la resistenza fisica già si prefigura come plasmabilità ed il fantasma poetico può optare tra schermo teso in opposizione alla trasparenza ed il velo che si apre all'ulteriorità della luce e dello spazio. Le armature di Salvatore Amelio sono metallo dipinto, ma il gioco di resistenza e resa rimane identico. L'ipotesi iniziale è, non v'è alcun dubbio, metafisica, ma l'orizzonte, di attenuata oscurità, si fa fondo senza referenti naturali, in opposizione alla "metafisica" storicamente datata, che scenograficamente prediligeva i dati di uomini, case e rocce. Dalla contemplazione di un passato che è archetipo, a suo modo senza tempo, Amelio perviene invece ad un tempo che si dilata "oggi", nel momento stesso in cui si plasma il metallo delle sue armature. Non è l'archeologia che affascina l'artista ma l'apparizione attuale della complessa configurazione: non c'è l'uomo e neppure il manichino "dentro" i morbidi telai, eppure la corazza è tendine di persona e dilatazione psicologica. È possibile allora il pulsare del metallo reso carne e che, paradossalmente, mantiene la sua qualifica di materia. I colori, mai squillanti, confermano la ricerca antropologica ed il tenue apparire di membrane trasparenti evoca l'esserci della vitalità, quasi respiro presente e mai urlato. L'uomo-armatura assume diverse forme, dalle più cariche di ricordi classici (vien da pensare alla Battaglia di S. Romano di Paolo Uccello) a sottili astrazioni surreali, dove progressiva è la semplificazione degli elementi e più ardita la diagonalità dei tagli compositivi. Una esperienza a parte è la raccolta figura di S. Francesco dove la tensione degli scomparti di telaio è circolarmente conchiusa, ma che potenzialmente contiene l'esplosione esaltante: questa polarità, quasi arsi e tesi dello spirito in preghiera, contiene il dinamismo delle risposte arricchenti e piene. Il Ga-lata morente conclude la parabola delle armature e la conclude con l'enigmatica curvatura della morte; anche lo spazio dell'ignoto reclama la precarietà del tempo e dello sforzo. Il Galata sembra inabissarsi nel limite basso del quadro e lasciare lo sfondo padrone del campo visivo. È una "fabula" quella delle armature? Un racconto con un suo prologo ed un tragico epilogo? Sicuramente non preventivata, la "storia" ha una sua consequenzialità, quasi composizione sul timpano di un ipotetico tempio entro la quale si giocano gioie e scompensi di quel grande sintagma che è la vita. Nella seconda "parte" della rassegna Amelio propone una diversa ipotesi formale: l'armatura indica (reclama?) uno stormo di uccelli che si dispiegano in assoluta libertà di volo. L'idea è sorta in autonomia da quella, più metafisica, della parabola precedente, ma il ricorso alla continuità tecnica crea il presupposto per un efficace aggancio formale e tematico: lo stormo sembra nato dalla dissoluzione dell'armatura per acquisire nuovi dati di quello spazio che ora è decisamente "oltre" i limiti del quadro. Plastici e scultorei alcuni uccelli si alternano, armonizzandosi, con altri velati e trasparenti; era la dialettica delle armature che già suggeriva questi apparenti contrasti. L'impatto con il fondo si fa meno alternativo e l'atmosfera può dilatarsi più liberamente. L'oltre" del Galata morente è questa riconquistata agilità di volo che nulla toglie allo stupore del mistero: anche quando l'armatura scompare al nostro sguardo avvertiamo che gli uccelli son visti come in "soggettiva", in alto, più in alto ancora. Il loro intrecciarsi popola lo spazio sino a diventar clamore ed il motivo ornamentale e ricco di passaggi inediti: congiunzione e disgiunzione sono solo apparenti in quanto c'è solo accostarsi libero e parallelo. La coralità allora diventa la nota dominante. Salvatore Amelio ha optato per questa soluzione di fantasia e, sempre meno legato a statiche figurazioni, lascia intuire la futura possibilità di una astrazione sempre più libera. Per la scultura è un discorso a parte? Credo assolutamente di no. Il S. Francesco vive la dinamica della tela, anche se la luce rende più sofferte le propensioni elastiche. Un parallelo con la pittura dichiara l'attuale affinità anche se, e il tempo non sarà lontano, l'organicità della materia plastica potrà consigliare soluzioni ben diverse. Suggerita una possibilità di "lettura", non rimane che fissare lo sguardo sugli ultimi quadri degli "stormi" e continuare quell'oltre la tela che è consegnato a noi.
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