| Marilena Pasquali - Galleria San Vitale Bologna 1979 Salvatore Amelio è pittore di immagini sospese, sottratte per virtù di un'operazione intellettuale alla realtà quotidiana. Sono gelidi robot addormentati, per i quali è preferibile non richiamarsi al filone surrealista, in quanto del surrealismo non hanno né il rimando ad una realtà "altra", quella dell'inconscio e dell'onirico, né il predominio riconosciuto all'irrazionale. Vi si può piuttosto riconoscere il frutto, magari rifiutato, di una civiltà tecnologica in grado di produrre autonomamente i propri fantasmi, oggetti che si autocitano alla ricerca di un'identità individuale e nobilitante. Si tratta di racconti immobili, trattenuti in una fissità di vaga ascendenza metafisica, nei quali l'esperienza scenografica dell'artista ha giocato un ruolo determinante nella costruzione di fondali teatralmente "falsi", scanditi da pause e ritmi prefissati. Davanti ad essi sul primo piano si posano le forme quasi di carta ritagliata dei guerrieri assorti; gli oggetti di scena che accompagnano e sottolineano le volute metalliche delle figure sono assunti nella loro essenzialità; una lampadina, un bacile, un panno abbandonato, le aste delle lance a scandire lo spazio. Sono tutti elementi ricreati e utilizzati per limitare e definire la scena del racconto. Non vi è chiaroscuro né differen¬ziazione tonale, ma piuttosto un colore minerale, lucentezza di idoli antichissimi ritornati dal futuro. L'illuminazione è diffusa, è una lampada accesa al di fuori del dipinto o una luminosità che emana dal fondo: non è luce naturale, ma luce teatralmente orientata. Nel racconto fermato, da cui ogni movimento è bandito sia che si tratti di un sonno di cavalieri o di una meditazione, è spesso avvertibile il richiamo alla tradizione, alla citazione preziosa. Che sia una ricerca di garanzia, di legame con un mondo dai valori riconosciuti, o che si tratti di un desiderio di certezze rasserenanti, frequente è il rimando a quei modi "cortesi", di una metafisica tradotta in fiaba, propri del nostro tardo gotico. Esso è soprattutto avvertibile nell'insistere dei temi, nell'accanirsi su questa immagine a strati di metallo, a mezza strada fra l'armatura da torneo ed i meccanismi semoventi e programmati dai reattori nucleari. Se vi è rischio, questo sta nella possibilità per il pittore di abbandonarsi a troppo facili suggestioni di area fantastica, cioé nel perdere saldezza compositiva e concettuale a favore di scoperte simbologie ed atteggiamenti superficialmente onirici. Se egli saprà contemperare il fascino del sogno con i suggerimenti che gli provengono dal mondo quotidiano — e già molte delle sue prove si muovono in questa direzione — potrà evitare trappole e secche forse troppo frequenti nell'area "padana" e dar concreto risalto a quelle doti di "costruttore di favole" contemporanee che già oggi lo differenziano da tanta parte della pittura emiliana e ne rivelano la diversa matrice culturale. Buoni esempi si possono trovare, e sono personalità artistiche che nulla concedono sul piano del rigore strutturale e formale, dal De Vita dei cavalieri sfatti e fasciati d'aria al Cascella dei rituali di antichissima magia naturale bloccata nella pietra. Nel rifiuto di forme ibride e nella costruzione di volumi e masse individuate dalla rotondità del segno, Salvatore Amelio si muove oggi in una dimensione difficile, aperta a molti rischi. Potrà approfondire la ricerca sulla capacità fascinatrice degli oggetti quotidiani, elevati a simulacri del presente; potrà cercar sollievo nelle memorie di un passato fatto di desiderio più che di certezza. Certo potrà continuare in un'indagine serrata che, lasciandosi alle spalle i pericoli del segno scomposto e di una simbologia spicciola, trovi la forza e la coscienza per appropriarsi della magia del tempo sospeso, quasi di favola e di rodente nostalgia.
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