| Maria Censi - GENESI DI UNA SCULTURA - IL MONUMENTO DI PADRE PIO Chi ha avuto come me l'opportunità di veder nascere un'opera d'arte, sa che è un'esperienza indimenticabile: è assistere alla nascita della vita entro la materia fredda e sorda. E l'impatto è tanto più forte quando si tratta, come nel caso del monumento a padre Pio, di una realizzazione complessa, non tanto per la composizione a due figure, quanto per l'alto significato del tema da rappresentare. L'idea prende a delinearsi nella mente dell'artista insieme con la scelta di un lessico adeguato: in questo caso, non più subordinato alle personali propensioni grafiche di Amelio, ma volutamente teso a rispettare la corrispondenza con i lineamenti esteriori del ritrattato e con la sua indole, per raggiungere quella rappresentazione "totale" del personaggio che, fin dall'origine, volle Leonardo: "Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell'animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile". Il processo creativo ha inizio con !'opera grafica. E' qui, prima che altrove, che appare quanto l'artista abbia pensato, elaborato, sofferto e gioito di tutto ciò che veniva filtrato dalla mente per delinearsi sui fogli di carta. Sono i numerosi disegni preparatori a raccontarne la storia: dapprima la serie dei volti indagati da angolazioni diverse, alla ricerca sempre dei segni di quella umanità, di quella "pietas", che contraddistinsero in vita il cappuccino. Tanti fogli quante le tessere di un mosaico, ciascuno con una connotazione dell'uomo: è fidente e riservato, sorridente e pensoso, severo e amabile, umile e vitale sempre. I disegni soddisfano, a poco a poco, l'esigenza di una meditata presentazione di attributi qualificanti l'uomo, con il pensiero fisso, da parte dell'artista, al bronzo, che tutti li assommerà e fonderà insieme, accentuando la forza dell'apparizione. La sicurezza del segno va cercando, tra morbide sfumature e forti contrasti chiaroscurali, un realismo sempre più coincidente con la verità totale. La quale non vuole essere verità di semplici corrispondenze fisionomiche, che rischierebbero di restare superficiali e sterili, ma verità di chi sa ridare la fiducia, riaccendere la speranza, alleviare le pene, in quanto umanamente più dotato di altri. Poi la figura intera. Infine, l'accostamento ad un altro uomo, disegnato più volte in atteggiamenti diversi. Ed ecco apparire per intero la vicenda, che si concluderà definitivamente nella modellazione della creta, risposta obbligata all'intero ciclo di ricerca. Una cosa è subito evidente: i disegni, anche se finalizzati alla realizzazione del monumento, vanno valutati come opere finite, con un loro preciso valore espressivo e una loro compiuta elaborazione. Se contengono i caratteri della formulazione primaria dell'idea, essi appaiono anche come il prodotto della sua completa e meditata definizione e ne hanno pari energia vitale. Costituiscono, inoltre, un documento fondamentale per cogliere la poetica di Amelio e verificarne il mezzo grafico, che va dal semplice tratto, a volte nervoso a volte dolcemente modulato, alle sfumature chiaroscurali, al contrasto netto di brevi e incisive zone scure con intere superfici in luce, per raccontare con forza, con movimento, con vitalità, le passioni dell'uomo. Un sacrificio l'ha compiuto Amelio: ha rinunciato alle proprie collaudate inclinazioni lessicali, quali appaiono nei numerosi suoi dipinti, per attenersi soprattutto ad un realismo figurativo, che scaturisce da un ideale percorso delle vicende di vita del religioso. E ha scelto un modo di esprimersi fin qui inusitato; un modo che non lo lega a stilemi passati, che ignora le contrastanti tendenze dell'attualità, e ricerca invece, consapevolmente, la giusta misura nella coincidenza dell'estetica dell'esteriorità con i valori dell'interiorità. Concluso il ciclo grafico, l'artista mette mano alla creta e comincia a dar corpo al monumento. E' un'opera destinata alla città e la sua collocazione nella cerchia urbana costituisce un evento importante. Umanizzare piazze e giardini, innalzando monumenti che richiamano la speranza, davanti ai quali sentirsi non più spettatori, ma in qualche modo protagonisti, assolve la duplice funzione di contrapposizione al pragmatismo senza illusioni e senza mete dell'attualità, e di superamento delle difficoltà a conoscere e ad apprezzare l'arte moderna, spesso per la sua scarsa accessibilità. Salvatore Amelio non è nuovo a misurarsi con gli spazi urbani, visto che sue opere si trovano già dislocate, fruibili da tutti, nei percorsi cittadini: da "Guercino '91" (1991), sensibile interpretazione della giovanile propensione guerciniana alla luce e al movimento (meglio sarebbe dire al movimento costruito con la luce), a "Il lavoro" (1993), plasticamente reso come mezzo di sublimazione dell'uomo. Pari fruibilità hanno le numerose sue opere esposte in luoghi pubblici, civili e religiosi, testimonianze tutte di una speciale attenzione dell'artista al tema umano nelle sue declinazioni. Personalissimo sempre, e inconfondibile, Ë il lessico, fatto di purezza di linee, di monocrome luminescenze della materia (il bronzo), di volumi arrotondati e sinuosi, aggrovigliati e intersecati, in equilibrata alternanza con i vuoti, con esiti che si collocano a metà strada tra la realtà e la fantasia. Se nel monumento a padre Pio non è nuovo il tema umano, che si ripropone in tutta la sua nobiltà, nuova è per noi l'accentuata, emozionante figuratività plastica, alla cui luce il passato scultoreo di Amelio, segnato specialmente da Futurismo e Metafisica, si avvalora ancor più, avendo palesemente a monte una provata capacità interpretativa, in termini di verità, di inscindibili complessità di realtà esteriori e realtà psicologiche. Connotazione, questa, tipica dell'età postfreudiana, che ha fuso insieme sempre pi˘ le due differenti realtà nel processo creativo e nella formulazione di una poetica. Ancora una volta l'opera di Salvatore Amelio s'inserisce nella spazialità abitata e movimentata della città, nel cui contesto non rappresenta un momento di quiete, ma un momento dinamico di richiamo al presente, di cui ciascuno è, a modo suo, protagonista. L'ubicazione nel campo visivo dell'antica Rocca cittadina, simbolo, insieme con altre vestigia, della sacralità del passato, stimola associazioni interessanti, inducendo pensieri di continuità del passato con l'immaginazione contemporanea, tramite la monumentale scultura, viva di toccante verità colorata dei bruni cangianti del bronzo. Una scultura moderna, attuale, ma con un pizzico di nostalgia. Vi spira sopra la brezza di un passato dalla plasticità "classica" a smussare la modernità e a favorire l'insinuarsi di uno stato d'animo con il suo carico di sentimenti. Il monumento si alimenta così di un pathos moderno e antico al tempo stesso, in cui il presente della narrazione si colora, con la naturalezza e la semplicità dei miti popolari, delle gioie e dei dolori che appartengono alla memoria e hanno il peso della quotidianità. Sostenuto da generosa volontà collettiva - partecipe alla sua realizzazione un intero Gruppo di Preghiera, che così ha voluto esprimersi – il monumento è qualcosa di più di un semplice "ritratto" di padre Pio: è lo sviluppo di un tema, quello del modo di rapportarsi del religioso con l'umanità intera. Di qui la necessità di calarlo in una situazione reale, in cui funge da comprimario un uomo comune. E' l'uomo di sempre, che racchiude in sé il destino proprio e quello di tutti gli uomini, e incarna la presenza mai superata, mai compensata dell'umana sofferenza, sublimando la realtà nell'idea di condizione di sempre, di condizione di tutti. L'uomo ha salito faticosamente i pochi gradini: è la fatica del vivere sotto il peso di un affanno continuo, di continue pene. Raggiunta la meta, cade in ginocchio aggrappandosi a Lui come ad un padre che ha già pagato di suo parte di quelle pene, e incarna la realtà realizzata, conquistata, definitiva, complice l'antico volo d'ali che muove verso l'alto. Il dramma dell'umanità e la sua catarsi s'intersecano nella solidità plastica di un abbraccio, nella trasparente sensibilità che preme entro la compostezza levigata dei gesti, nella disposizione colloquiale del frate che nulla cela di sé nel modo di porsi, lievemente proteso come in un'offerta, nell'abbraccio fraterno e solidale, che si consuma entro mani solide e forti, nella bocca dischiusa al sorriso, nell'intensa espressione del volto. E poi gli occhi... Pur restando il punto focale dei sentimenti che soggiogano il corpo, pur riassumendo tutto ciò che il corpo esprime con il suo atteggiamento, lo sguardo è fisso nel vuoto, verso un orizzonte lontano, e gli occhi appaiono, così, slegati dal corpo, vivi di una loro vita autonoma, d'interrogazione, di attesa, confermando, tuttavia, la condizione di disponibilità, di protezione da ogni insidia. E l'abbraccio diventa sinonimo di porto sicuro, dove l'uomo può trovare riparo alle tempeste della vita. Se Amelio ha corso il rischio, come qualche critico ha scritto di lui, di "abbandonarsi a troppo facili suggestioni di area fantastica", di legarsi alle simbologie a scapito della "saldezza compositiva e concettuale", con quest' opera ha dato prova di saper restare saldamente ancorato alla realtà della rappresentazione nel dar corpo a sentimenti umani di un universo al cui centro sta appunto l'uomo. Volumi, pieghe, tensioni, resi con intensità e punteggiati di brani di sorprendente realismo grafico, vitalizzano nello spazio figure che appartengono ai nostri giorni; lo fanno in modo sintetico ed incisivo, senza alcuna velleità adulatoria, con verità grondante attualità senza tempo, in accordo con i valori etici della storia nel suo divenire.
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